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Santi del 29 Dicembre

Il mio Santo > I Santi di Dicembre

*Benedetta Hyon Kyong-nyon e Compagne - Martiri (29 dicembre)

Martirologio Romano:
A Seul in Corea, Santi Benedetta Hyŏn Kyŏng-nyŏn, vedova e catechista, e sei compagni, Martiri, che, dopo aver sofferto molti supplizi per il nome di Cristo, morirono infine decapitati.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sante Benedetta Hyon Kyong-nyon e Compagne, pregate per noi.

*San Davide - Re (29 dicembre)

Davide è il personaggio che dominò la storia di Israele dalla prima metà dal X sec. a.C.
Abbatté il gigante Golia, ridiede fiducia alle tribù d’Israele e le raccolse in un unico popolo forte e rispettato.
Davide è l’uomo che peccò gravemente davanti al Signore, ma che seppe riconoscere le sue colpe e chiederne perdono.
A lui il Signore assicurò una posterità eterna (2 Sam 23,5), perché dalla sua discendenza sarebbe nato il Salvatore, il vero Re che avrebbe portato la salvezza fino ai confini della terra, raccogliendo tutte le genti in un unico Israele.
Gesù viene definito “figlio di David” (cfr. Mt 22,41-45), “nato dalla sua stirpe” (Lc 1,27; Rm 1,3).
In Davide la promessa del Salvatore si storicizza progressivamente e l’Incarnazione del Verbo acquista tratti sempre più concreti.
Etimologia: Davide = diletto, dall'ebraico
Martirologio Romano: Commemorazione di San Davide, re e profeta, che, figlio di Iesse il Betlemita, trovò grazia presso Dio e fu unto con olio santo dal profeta Samuele, perché regnasse sul popolo d’Israele; trasportò nella città di Gerusalemme l’Arca dell’Alleanza del Signore e il Signore stesso gli giurò che la sua discendenza sarebbe rimasta in eterno, perché da essa sarebbe nato Gesù Cristo secondo la carne.
Davide era il più giovane dei sette figli di Isaia, della tribù di Giuda. Era ancora giovanissimo quando Samuele fumandato da Dio alla casa di suo padre per consacrarlo re in luogo di Saulle.
Chiamato dalla montagna dove pascolava il gregge paterno, venne alla presenza di Samuele che, con olio benedetto, lo consacrò re in mezzo ai suoi fratelli.
Da quel giorno lo spirito del Signore si posò in particolar maniera sopra Davide.
Al contrario, Saulle fu assalito da uno spirito di tristezza e di malinconia che ben spesso lo faceva dare in furore.
Davide suonava l'arpa con grande maestria e cantava bene: fu quindi chiamato alla corte, fatto scudiere e con l'armonia del suono e con la melodia del canto dissipava la tristezza di Saulle.
Mentre Davide si trovava alla corte, ci fu guerra fra Israeliti e Filistei.
Per evitare spargimento di sangue, un uomo filisteo, alto più di tre metri, chiamato il gigante Golia, avanzava verso gli Israeliti e diceva: “Se c'è qualcuno tra voi che voglia venir a battersi con me avanzi”.
Poi diceva: “Io oggi ho disprezzato le schiere del Dio d'Israele”.
E così per 40 giorni.
Davide, uditolo, esclamò: “Chi è questo incirconciso che ardisce insultare il popolo del Signore?
Io andrò a combattere contro di lui”. Prese la fionda e il bastone, andò incontro al gigante, e con la fionda scagliò una pietra che colpì Golia in fronte e lo fece stramazzare a terra.
Davide gli fu sopra: gli sfoderò la spada e gli troncò il capo.
Saulle non si rallegrò per la vittoria, anzi, preso da invidia, cercava la morte di Davide, che per sfuggirla andò per i deserti esclamando: “Chi confida nell'Altissimo vive in sicurezza e nulla teme”.
Morto Saul, Davide, con grande zelo, condusse il popolo alla virtù e al timor di Dio. Diede splendore al culto divino; e, innalzato un magnifico padiglione sul monte Sion, vi fece trasportare l'Arca dell'Alleanza.
Peccò anche, ma pianse i suoi peccati, fece penitenza, rimproverato dal profeta Natan, detestò i suoi errori e accettò la punizione di Dio.
Vicino a morte chiamò il figlio Salomone e gli disse: “Mio caro, cammina nelle vie del Signore, osserva i suoi comandamenti ed egli ti concederà un felice successo nelle tue imprese”.
Poco dopo finì in pace i suoi giorni.
Altissimo poeta, cantò, nei Salmi immortali il dolore, il pentimento, la speranza, la fede.
Profeta, vide nell'alta mente illuminata da Dio il Giusto condannato, ucciso, trionfante, e mille anni prima narrò al mondo la passione e la risurrezione di Cristo.
(Autore: Antonio Galuzzi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Davide, pregate per noi.

*Sant'Ebrulfo (Ebrolfo) di Ouche - Abate (29 dicembre)

Martirologio Romano: A Exmes in Neustria, ora in Francia, Sant’Ebrolfo, Abate del monastero di Ouche al tempo del Re Childeberto.
Il 29 dicembre il Martirologio Romano menziona Ebrulfo, abate al tempo del re Childeberto II (m. 596). Sembra che il Santo sia vissuto nella regione di Ouche, nell'alta Normandia, fra Exmes e Laigle (Orne).
Lo menziona anche, lo stesso giorno, il Martirologio di Usuardo (PL, CXXIV, coll. 849-50), un esemplare del Martirologio di Beda (secc. X-XI) che può provenire da St-Calais nella diocesi di Le Mans (Quentin, pp. 31-36) e un sacramentario dell'abbazia di St-Evroult scritto nella seconda metà del sec. XI. La toponimia del paese di Ouche attesta ugualmente la devozione a Ebrulfo: due villaggi, una foresta e, non lontano, un'abbazia portano il suo nome. È stato fatto patrono di una dozzina di chiese della diocesi di Sens e di diocesi vicine.
In Gallia Christiana (ed. 1656, IV, pp. 347 sgg.) è detto che egli nacque a Bayeux nel 517 e che morì ottuagenario il 29 dic. 596.
Autori dei secc. XI e XII, come il cronista Orderico Vital (m. verso il 1144) monaco di St-Evroult, ci hanno tramandato le informazioni che lo concernono e che sembrano riposare sui dati antichi, anzi contemporanei.
Di origine nobile, Ebrulfo ricevette un'educazione distinta e diede prove di virtù profonde. Alto funzionario di Clotario I (m. 561) sposò una donna del proprio rango sociale, da cui poi si separò per condurre una vita di maggiore perfezione.
Si stabilì allora, con alcuni compagni, nella foresta di Ouche, infestata dalle bestie feroci e dai briganti; questi ultimi si convertirono e alcuni, anzi, si fecero monaci.
Il Santo avrebbe fondato una quindicina di monasteri, operato numerosi miracoli e anche risuscitato dei morti. Nel sec. XII Giovanni di St-Evroult compose un'opera in versi in suo onore e Orderico afferma che si ottenevano guarigioni presso la sua tomba.
Durante le invasioni normanne, i suoi resti furono trasportai a Orléans, secondo Orderico, a Rebais (diocesi di Meaux), secondo un monaco di questa casa. Si cercò, in seguito, di riportarle a St-Evroult, ma senza successo.
(Autore: Paul Viard - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Santa Elisabetta Chong Chong-hye - Vergine e Martire (29 dicembre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Santi Martiri Coreani (Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e 101 compagni) - 20 settembre

Majae, Corea del Sud, 1797 – Seul, Corea del Sud, 29 dicembre 1839
Elisabetta Chong Chong-hye fu vittima delle persecuzioni contro i cristiani in Corea del XVII secolo: dapprima indirettamente, quando i suoi familiari vennero privati dei loro beni a seguito della morte del capofamiglia Agostino Jeong Yak-jong, poi in maniera diretta, quando venne messa in carcere. Sopportò con fermezza le torture e le percosse per amore di Dio e della Madonna.
Venne decapitata il 29 dicembre 1839, insieme ad altri sei compagni, a 43 anni. Aveva scelto da tempo di dedicare la propria verginità al Signore.
È stata canonizzata da san Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984, inserita con i suoi compagni nel gruppo dei 102 martiri coreani. Nel medesimo novero fanno parte anche sua madre Cecilia Yu So-sa e suo fratello Paolo Jeong Ha-sang (o Chong Hasang). Suo padre e il suo fratellastro Carlo Jeong Cheol-sang sono invece stati beatificati il 16 agosto 2014 da papa Francesco.
Martirologio Romano: A Seul in Corea, santi Benedetta Hyŏn Kyŏng-nyŏn, vedova e catechista, e sei compagni, martiri, che, dopo aver sofferto molti supplizi per il nome di Cristo, morirono infine decapitati.
Elisabetta Chong Chong-hye (o Jeong Jeong-hye) era figlia di Agostino Jeong Yak-jong e Cecilia Yu So-sa, da lui sposata in seconde nozze. Aveva un fratello di sangue, Paolo Jeong Ha-sang (o Chong Hasang), e un fratellastro, Carlo Jeong Cheol-sang. Tutti i figli vennero educati nella fede cattolica dal padre.
Quando Elisabetta aveva cinque anni, Agostino venne arrestato e, in seguito, decapitato. Cecilia e i figli vennero anche loro messi in arresto: privati per ordine del governo di tutti i loro beni, vennero
poi rilasciati e andarono a vivere da un parente, rimasto nella religione degli avi. Carlo, invece, subì la stessa sorte del padre.
Per sostentare la madre e il fratello rimasto, la ragazzina si guadagnava da vivere filando e tessendo e fece voto a Dio della propria verginità. Era così riservata che non guardava mai in faccia gli uomini. I suoi parenti, che inizialmente la disprezzavano, presero a volerle bene proprio per il suo carattere mite.
Quando era sui trent’anni, subì forti tentazioni per un periodo di circa cinque anni, ma riuscì a superarle con la preghiera, il digiuno e anche flagellandosi. Il suo desiderio più grande, ossia che i missionari giungessero in Corea, venne realizzato quando, grazie a suo fratello, arrivarono il vescovo Laurent Imbert e due sacerdoti, Jacques Chastan e Pierre Maubant, delle Missioni Estere di Parigi. Fu grande la sua gioia nell’ospitarli in casa e nel prendersi cura di loro. Non badò solo ai missionari, ma anche alla povera gente che veniva a trovarli, cui insegnava il catechismo e forniva le elemosine. Monsignor Imbert fu così impressionato dal suo atteggiamento che esclamò: «Elisabetta è proprio come una catechista».
Quando la persecuzione contro i cristiani riprese, lei ebbe paura. Il vescovo fuggì da Seul per rifugiarsi in campagna, mentre Elisabetta, Paolo e la loro madre fecero del loro meglio per consolare i fratelli nella fede e procurare cibo e vestiario a quelli che tra loro erano poveri o in carcere. Nel frattempo, si preparavano a loro volta al martirio.
Tutti e tre vennero arrestati il 19 luglio 1839. Elisabetta fu sottoposta a interrogatori, ma, visto che si rifiutava di rinnegare la sua fede, venne picchiata per 230 volte in sette occasioni distinte, senz’arrendersi mai. Era decisa a sopportare tutto per amore di Dio e della Madonna.
Mentre era in prigione, non smetteva mai di pregare e d’incoraggiare i suoi compagni. Per le percosse subite, diceva di comprendere benissimo le sofferenze del Signore. Riuscì ancora a far arrivare viveri e vestiario ai prigionieri.
Il 29 dicembre 1839 venne decapitata insieme ad altri sei compagni (Barbara Cho Chung-i, Maddalena Han Yong-I, Pietro Ch’oe Ch’ang-hub, Benedetta Hyong Kyong-nyon, Barbara Ko Sun-i, e Maddalena Yi Yong-dok), presso la Piccola Porta Occidentale di Seul. Aveva 43 anni. Paolo Jeong Ha-sang e Cecilia Yu So-sa subirono anche loro il martirio.
Elisabetta e i suoi compagni, insieme a suo fratello e a sua madre, sono stati inseriti nel gruppo dei 102 martiri coreani canonizzati da san Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984, nell’ambito del viaggio apostolico in Corea, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone e Thailandia. Suo padre Agostino Jeong Yak-jong e il figlio avuto dalle prime nozze, Carlo Jeong Cheol-sang, sono invece stati beatificati da papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio apostolico in Corea del Sud.
(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Beato Enrico (Enrique) Juan Requena - Sacerdote e Martire (29 dicembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:

“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001 - Senza data (Celebrazioni singole)
“Martiri della Guerra di Spagna” Senza Data (Celebrazioni singole)

Aielo de Malferit, Spagna, 2 marzo 1907 – Picadero de Paterna, Spagna, 29 dicembre 1936

Enrique Juan Requena nacque a Aielo de Malferit, in Spagna, il 2 marzo 1907 e divenne sacerdote dell’arcidiocesi di Valencia.
Allo scoppio della guerra civile e della feroce persecuzione religiosa che attraversò la Spagna, fu chiamato a testimoniare con il sangue la sua fede in Cristo.
Fu ucciso dunque presso Picadero de Paterna il 29 dicembre 1936 insieme a José Aparicio Sanz e José Perpiña Nácher.
Papa Giovanni Paolo II lo ha beatificato l’11 marzo 2001 con altre 232 vittime della medesima persecuzione.
Martirologio Romano: Nel villaggio di Picadero de Paterna sempre nel territorio di Valencia, Beati Martiri Enrico Giovanni Requena, sacerdote, e Giuseppe Perpiñá Nacher, che portarono a termine la gloriosa prova per Cristo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Enrico Juan Requena, pregate per noi.

*Beato Ermanno - Abate di San Pantaleone a Colonia (29 dicembre)

† 29 dicembre 1121
Il Beato Ermanno è stato un abate di San Pantaleone a Colonia, vissuto tra il secolo XI e XII. Di lui non sappiamo nulla. Era fratello della Beata Ermenegalda di Zuphen.
Morì il giorno 29 dicembre 1121 e fu sepolto a San Pantaleone nella cappella del crocifisso, che proprio il beato Ermanno ne volle la costruzione.
Nel corso del secolo XVII ci fu una prima traslazione del suo corpo, nell’angolo nord del coro della chiesa. Inoltre alla riesumazione del 1892, quando venne riaperta la sua tomba, venne trovato intatto l’abito con cui la salma era stata coperta e pochi frammenti delle sue ossa.
La sua festa era fissata nel giorno 29 dicembre.
(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Ermanno, pregate per noi.

*San Fiorenzo di Bourges - Vescovo (29 dicembre)

† 664
San Fiorenzo di Bourges è stato un vescovo vissuto nel VII secolo.
Nella lista ufficiale dei vescovi della città, è inserito al trentatreesimo posto, dopo San Sulplizio II il Pio e prima di Adone.
Bourges è una delle poche sedi episcopali francesi di cui si conservano i dittici originari in avorio, dove al loro interno fu scritto con inchiostro il catalogo episcopale che arriva fino al 1294. Anche se i dittici risultano illeggibili, tuttavia sono giunte fino a noi diverse copie del catalogo.
La più antica è quella trascritta in un manoscritto della fine dell'XI secolo che arriva fino al vescovo Audeberto.
All'epoca dell'arcivescovo Roger le Fort, nel XIV fu redatta un’altra copia ufficiale su pergamena, che fu tenuta aggiornata fino alla fine del Settecento.
Il catalogo episcopale riporta incongruenze e anacronismi sono tali, tanto che fino alla metà del IX secolo sono inaffidabili. San Fiorenzo è stato l’ausiliare di San Sulplizio II, il Pio, a cui è succeduto alla sua morte nel 647. Il suo episcopato secondo alcuni testi è durato per tredici anni (alcuni dicono vent’anni), fino alla sua morte avvenuta nell’anno 660.
Durante il governo della sua diocesi si preoccupò affinché la vita spirituale dei suoi fedeli fosse più intensa e in comunione con il proprio pastore.
E’ ricordato quale protettore di Saint Florent-sur-Cher e di alcune altre chiese francesi.
La sua festa è stata fissata nel giorno 29 dicembre, anche se in alcuni testi era stata fissata nel giorno 12 dicembre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Fiorenzo di Bourges, pregate per noi.

*Beato Francesco Ruiz - Martire Mercedario (29 dicembre)

Rioja, Spagna, 1546 - Santa Cruz de la Sierra, Perù, 1590
Nato a Rioja in Spagna nel 1546, il Beato Francesco Ruiz, entrò nel convento mercedario di Logrono dove preso il santo abito, andò poi nel 1569, missionario in Cile.
Costruita la chiesa di Portoviejo in Ecuador passò al convento del Cusco in Perù dove si dedicò tutto all'apostolato per portare la parola del Signore ai popoli idolatri.
Mentre annunciava il vangelo nella regione montuosa del Tucuman fu martirizzato dagli indigeni a Santa Cruz de la Sierra nell'anno 1590.
L'Ordine lo festeggia il 29 dicembre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Ruiz, pregate per noi.

*Beato Gerardo Cagnoli (29 dicembre)

Valenza Po, 1267 - Palermo, 29 dicembre 1342
Nato a Valenza Po, in Piemonte, verso il 1267, dopo la morte della madre, avvenuta nel 1290 (il padre era già morto), Gerardo Cagnoli abbandonò il mondo e visse da pellegrino, mendicando il pane e visitando i santuari.
Fu a Roma, a Napoli, a Catania e forse ad Erice (Trapani); nel 1307, colpito dalla fama di santità del francescano Ludovico d'Angiò, vescovo di Tolosa, entrò nell'Ordine dei Minori a Randazzo in Sicilia, dove fece il noviziato e visse per qualche tempo.
Dopo avere operato miracoli e edificato quanti lo conobbero con l'esempio, morì a Palermo il 29 dicembre 1342. Secondo Lemmens, il Beato sarebbe stato inserito in un catalogo di francescani illustri per santità di vita redatto verso il 1335, cioè mentre egli era ancora vivo.
Il suo culto, diffusosi rapidamente in Sicilia, in Toscana, nelle Marche, in Liguria, in Corsica, a Maiorca e altrove, fu confermato il 13 maggio 1908. Il corpo si venera a Palermo, nella basilica di San Francesco. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Palermo, Beato Gerardo Cagnoli, religioso dell’Ordine dei Minori, che in precedenza aveva condotto a lungo vita eremitica.
Nato a Valenza Po, in Piemonte, verso il 1267, dopo la morte della madre, avvenuta nel 1290 (il padre era già morto), il Cagnoli abbandonò il mondo e visse da pellegrino, mendicando il pane e visitando i santuari.
Fu a Roma, a Napoli, a Catania e forse ad Erice (Trapani); nel 1307, colpito dalla fama di santità del francescano San Ludovico d'Angiò, vescovo di Tolosa, entrò nell'Ordine dei Minori a Randazzo in Sicilia, dove fece il noviziato e visse per qualche tempo.
Dopo avere operato miracoli e edificato quanti lo conobbero con l'esempio della sua santa vita, il Cagnoli morì a Palermo il 29 dicembre 1342.
Secondo L. Lemmens, il Beato sarebbe stato inserito in un catalogo di francescani illustri per santità di vita redatto verso il 1335, cioè mentre egli era ancora vivo.
Il suo culto, diffusosi rapidamente in Sicilia, in Toscana, nelle Marche, in Liguria, in Corsica, a Maiorca e altrove, fu confermato il 13 maggio 1908. Il corpo si venera a Palermo, nella basilica di S. Francesco, mentre la festa cade il 29 dicembre.
(Autore: Rodolfo Toso d'Arenzano – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Gerardo Cagnoli, pregate per noi.

*Beato Giovanni Battista Ferreres Boluda - Sacerdote Gesuita, Martire (29 dicembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Gesuiti”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia Beatificati nel 2001”
“Martiri della Guerra di Spagna”
Ollería, Spagna, 27 novembre 1861 – Picadero de Paterna, Spagna, 29 dicembre 1936
Padre Juan Bautista Ferreres Boluda nacque a Olleira (Valencia) il 27 novembre 1861 ed entrò nella Compagnia di Gesù nel 1888, ove divenne sacerdote.
Fu professore di Teologia Morale e di Diritto Canonico nel teologato di Sarriá. Morì a Valencia in località “Picadero de Paterna” il 29 dicembre del 1936 in seguito ai maltrattamenti ricevuti.
Aveva 75 anni.
Martirologio Romano: Nel villaggio di San Miguel de los Reyes nello stesso territorio, Beato Giovanni Battista Ferreres Boluda, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che, nella stessa persecuzione, imitando la passione di Cristo, meritò di conseguire la palma della gloria.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Battista Ferreres Boluda, pregate per noi.

*Beato Giuseppe (José) Perpina Nacher - Giovane Laico, Martire (29 dicembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:

“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”
Sueca, Spagna, 22 febbraio 1911 – Picadero de Paterna, Spagna, 29 dicembre 1936
Martirologio Romano: Nel villaggio di Picadero de Paterna sempre nel territorio di Valencia, Beati martiri Enrico Giovanni Requena, sacerdote, e Giuseppe Perpiñá Nacher, che portarono a termine la gloriosa prova per Cristo.
José Perpiña Nácher, fedele laico, nacque il 22 febbraio 1911 a Sueca, nei pressi di Valencia in Spagna.
Fu battezzato il 25 febbraio 1911 e ricevette la prima comunione nel mese di maggio 1919, sempre nella chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo del suo paese natale. Telegrafista, prestò il suo servizio sulla nave “Buenos Aires”.
Laureatosi poi in Giurisprudenza, divenne segretario del Sindacato della Polizia Rurale. Lavorò molto in favore dei poveri, specialmente quale avvocato di gratuito patrocinio. Aderì all’Azione Cattolica e all’Adorazione Notturna.
Uomo molto devoto, era solito ricevere quotidianamente l’Eucaristia e si distinse per il lavoro catechistico ed anche come giornalista.
Il 22 aprile 1935 convolò a nozze con Francisca Bosch Pieva nella chiesa parrocchiale della Santissima Vergine di Sales, ma l’idillio durò purtroppo ben poco.
Con lo scoppio della guerra civile e la conseguente feroce persecuzione religiosa che si scatenò, José Perpiña Nácher fu arrestato il 3 settembre 1936 ed il 29 dicembre successivo subì il martirio in odio alla fede cristiana presso Picadero de Paterna.
Con lui furono anche uccisi José Aparicio Sanz ed Enrique Juan Requena. Papa Giovanni Paolo II lo ha beatificato l’11 marzo 2001 con altre 232 vittime della medesima persecuzione.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe (José) Perpina Nacher, pregate per noi.

*Beato Guglielmo Howard - Visconte di Stafford, Martire (29 dicembre)

30 novembre 1614 – 29 dicembre 1680
Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, Beato Guglielmo Howard, Martire, che, visconte di Stafford, professò la fede cattolica e, falsamente accusato per questo di cospirazione contro il Re Carlo II, morì per Cristo con un colpo di scure.
William Howard era il nipote di San Filippo Howard, già trattato in data 19 ottobre. Nel 1675 fu arrestato ed imprigionato nella celebre Torre di Londra, accusato di aver protetto dei cattolici, ed infine condannato a morte e giustiziato dopo cinque anni.
William diventò visconte di Stafford nel 1637, in seguito al matrimonio con l’ultima erede del casato. Il re inglese Carlo I nominò baroni William e la moglie. Nella guerra civile che scoppiò poco dopo, appoggiò il partito monarchico e perse così tutte le sue proprietà terriere, restituitegli poi nel 1660 con l’ascesa al trono di Carlo II. William si sentì però non sufficientemente compensato per la sua lealtà alla corona e da quel momento inizò a provare un sentimento di rancore verso il nuovo sovrano. Nel 1678 litigò pubblicamente con il conte di Peterborough nel corso di un dibattito alla Camera dei Lord, episodio che gli guadagnò non pochi nemici.
Nello stesso anno William fu denunciato per sospetta complicità nel “complotto papista” ideato da Tito Oates, accusato di aver progettato l’assassinio del re Carlo II. In tal modo sarebbe succeduto infatti al trono inglese il fratello Giacomo II, di religione cattolica.
Il complotto si rivelò però assolutamente fittizio e difficilmente William Howard avrebbe potuto esserne un complice vista la sua età ormai avanzata. Tuttavia, regnando un’atmosfera generale di sospetto ed apprensione, la sua semplice appartenenza alla Chiesa Cattolica fu sufficiente per incriminarlo. Imprigionato nella Torre, fu poi processato dai suoi pari nella Westminster Hall.
Secondo la testimonianza del cronista John Evelyn, persino alcuni suoi parenti votarono contro di lui. Evelyn, che lo conosceva personalmente, escluse a priori che un uomo maturo ed esperto come Howard avesse potuto prendere parte al complotto, dando l’incarico a degli estranei di uccidere il sovrano. Lo colpì l’impressionante compostezza di William, che “parlò molto poco... e si comportò molto umilmente, come al solito” ma fu comunque ritenuto colpevole. Il 29 dicembre 1680, prima di essere decapitato, invocò: “Signore, perdona colore che hanno giurato il falso contro di me”.
William Howard fu beatificato il 15 dicembre 1929.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Guglielmo Howard, pregate per noi.

*Beato Josè Aparicio Sanz - Sacerdote e Martire (29 dicembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:

“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”
Enguera, Spagna, 12 marzo 1893 - Picadero de Paterna, Spagna, 29 dicembre 1936
Eresse associazioni eucaristiche nelle parrocchie in cui esercitò il suo ministero, propagando la devozione delle Quaranta Ore. Fu giustiziato dai miliziani, durante la Guerra Civile Spagnola.
Martirologio Romano: Nella città di Paterna nel territorio di Valencia in Spagna, Beato Giuseppe Aparicio Sanz, sacerdote e martire, che, durante la persecuzione contro la fede, versò il sangue per Cristo.
I 233 martiri, vittime della sanguinosa Guerra Civile Spagnola (1936-1939) sono stati beatificati l’11 marzo 2001 da Papa Giovanni Paolo II.
Nella grande disumana strage che insanguinò la Spagna, il numero delle vittime superò il milione, colpendo persone di ogni classe, età e fede. Gli storici hanno ormai riconosciuto che all’interno di questo terribile massacro, nei territori allora chiamati “zona rossa”, in mano agli anarchici ed ai social comunisti, si perpetrò una vera e propria persecuzione contro i cristiani cattolici.
I fedeli laici, solo perché cristiani, furono ammazzati a decine di migliaia e con loro furono massacrati 4148 sacerdoti diocesani, 12 vescovi, 283 suore, 2365 religiosi (sacerdoti e fratelli), per un totale finora riconosciuto di 6808 martiri, con la distruzione di numerose chiese.
La Chiesa sta beatificando a gruppi più o meno numerosi tutti quelli, sacerdoti, religiosi, suore e laici, di cui si è potuto raccogliere le notizie necessarie per l’espletamento della pratica di beatificazione.
Nel gruppo di 233 martiri beatificati nel 2001 sono presenti, cito solo alcuni gruppi: 32 salesiani, 19 cappuccini, 18 domenicani, 17 francescani, 12 gesuiti e così via per tanti Ordini e Congregazioni di più recente istituzione; a loro si aggiunge un consistente numero di sacerdoti diocesani e laici, per un totale di 74 martiri, il cui capofila è appunto il beato Josè Aparicio Sanz, parroco.
I 37 sacerdoti e parroci e i 37 laici, sono quasi tutti della diocesi di Valenza; furono uccisi in luoghi diversi singolarmente o a piccoli gruppi, tutti nel secondo semestre del 1936; per brevità di spazio si omette il lungo elenco dei loro nomi, soffermandoci solo sul capofila.
Josè Aparicio Sanz nacque il 12 marzo 1893 a Enguera e battezzato il giorno seguente. Fin da piccolo avendo assimilato l’educazione cristiana ricevuta dai genitori, si dimostrò molto pio e incline ad una vita tutta dedicata al Signore.
Frequentò la scuola delle Suore Mercedarie di Enguera e prese il baccalaureato presso le Scuole Pie di Valenza, poi seguendo la sua vocazione al sacerdozio, entrò nel Collegio di S. Giuseppe di Valenza fondato dal Beato Manuel Domingo y Sol (1836-1909) e diretto dai suoi Sacerdoti Operai Diocesani. Proseguì gli studi al Seminario Conciliare Centrale, riconosciuto come Università Pontificia, dove si distinse come seminarista esemplare; fu ordinato sacerdote il 17 giugno 1916 dal vescovo di Segorbe, il venerabile Luigi Amigó Ferrer (1854-1934).
Fin dal primo incarico ricevuto nel vicariato di Benalì, esercitò il suo ministero sacerdotale sempre prediligendo i bambini, l’insegnamento del catechismo, l’amore verso l’Eucaristia.
Fu coadiutore di Santa Maria de Oliva (1917), economo nel 1920 di Benifallim, nel 1921 parroco a Luchente, piccolo villaggio che divenne un centro di devozione eucaristica.
Diede inizio agli annuali raduni dell’archidiocesi, con un ritiro nella Chiesa del Corpus Christi, nel ‘monte santo’ di Luchente; questa chiesa era fino allora isolata e abbandonata e fu salvata dalla completa rovina, grazie agli sforzi del giovane parroco, che la riportò all’antico splendore.
Nel 1930 fu arciprete nella parrocchia matrice di S. Michele Arcangelo ad Enguera, carica che mantenne finché incontrò il martirio il 29 dicembre 1936.
Restano molti scritti personali, molte lettere di direzione spirituale, scritti mistici ed ascetici, che permettono di delineare il profilo morale e mistico del Beato Josè Aparicio Sanz.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Josè Aparicio Sanz, pregate per noi.

*Liboso - Vescovo e Martire (29 dicembre)

Martirologio Romano: A Cartagine, nell’odierna Tunisia, San Libóso, vescovo di Béja e martire, che nel Concilio di Cartagine sulla questione del battesimo degli eretici affermò: «Nel Vangelo Cristo ha detto: Io sono la verità, e non: Io sono la consuetudine».
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Liboso, pregate per noi.

*San Marcello l'Acemeta - Abate (29 dicembre)

Martirologio Romano: A Costantinopoli, San Marcello, abate del monastero degli Acemeti sul Bosforo, nel quale si eseguiva giorno e notte ininterrottamente il canto dei salmi.
Nato ad Aparaea, compiuti gli studi ad Antiochia, si trasferì ad Efeso, dove esercitò il mestiere di calligrafo. Attratto nell’orbita del suo corregionale Alessandro, entrò nel monastero di san Menna di Costantinopoli. Seguì, insieme con altri monaci, Alessandro, quando questi, condannato da un concilio di Costantinopoli a lasciare la capitale, si stabilì nella località di Gomone nella Bitinia Nord-orientale. Mentre Alessandro stava morendo (circa nel 430), Marcello ch’era il monaco più ragguardevole della comunità, si allontanò dal monastero per evitare di essere, morto l’egumeno, eletto a succedergli. Ricomparve solo quando seppe che Alessandro era morto e a succedergli era stato eletto Giovanni. Allora il nuovo egumeno fu ordinato prete e Marcello diacono.
Durante l’enumerato di Giovanni la comunità abbandonò Gomone, aspro, selvaggio e malfamato luogo di confine, ed andò ad abitare quasi al centro della riva asiatica del Bosforo, nella località chiamata allora Ireneo e successivamente Chiboukli o Cubuklu, di fronte alla baia di Istenia, a stretto contatto con la capitale.
All’Ireneo i monaci, che non interrompevano la preghiera neppure di notte e per questo ricevettero la denominazione di Acemeti, videro chiudersi il brevissimo egumenato di Giovanni ed aprirsi quello
lunghissimo di Marcello, secondo successore di Alessandro.
Marcello riformò il monastero degli Acemeti, riabilitandolo e facendolo apparire puro d’ogni sospetto di fanatismo e di eresia. La preghiera continua restò la più spiccata caratteristica dei monaci, che continuarono ad essere riguardati e considerati gli insonni vigili di Dio.
Il lavoro, specialmente quello intellettuale, non solo non fu proibito, ma fu anche obbligato; la biblioteca degli Acemeti, la più antica biblioteca monastica di cui si faccia menzione nella storia della Chiesa greca, diventò una delle più ricche di tutto l’Oriente; sotto Giustiniano contò duemila lettere di sant'Isidoro di Pelusio e formò la più grande delizia di Rustico, il giovane diacono romano nipote di Papa Vigilio.
Marcello s’impose talmente all’attenzione dei posteri, come dei contemporanei, che gli fu attribuito anche parte di quel che avevano operato i suoi due predecessori. E ciò poté avvenire perché Alessandro era stato accusato d’infamia e Giovanni era passato rapido come una meteora, senza lasciare traccia.
L’egumenato di Marcello che si estende per circa un quarantennio, è caratterizzato da una sorprendente attività svolta in ogni campo, entro e fuori del monastero, soprattutto nel settore delle costruzioni. Se da una parte egli tenne tanto allo spirito e alla pratica della povertà, da respingere la proposta fattagli dai suoi monaci di comprare terre e da cedere ad altri monasteri, senza nulla riservarne per il proprio, i beni ch’egli aveva ereditato da un suo fratello, d’altra parte accettò le grandi ricchezze con le quali Faretrio, ricchissimo cittadino di origine romana, entrò nel monastero dell’Ireneo.
Come il suo predecessore Giovanni s’era servito delle ricchezze di Filoteo, altro ricco cittadino d’origine romana, per costruire il monastero dell’Ireneo, così Marcello si servì delle ingenti ricchezze di Faretrio per ingrandire e abbellire quel medesimo monastero, che diventò e fu universalmente chiamato d’allora in poi «il grande monastero degli Acemeti».
Molti furono coloro che da ogni parte accorrevano all’Ireneo per chiedere di esservi ammessi. Tra quelli che accorsero sotto Marcello fu il nobilissimo giovanetto costantinopolitano Giovanni, che poi da acemeta diventò calibita e salì agli onori degli altari in Oriente e in Occidente.
Anche il siro Sergio, discepolo di san Simeone Stilita, si avviò alla volta del monastero, ma, allorché sulla barca avvistò sulla riva opposta del Bosforo la colonna di san Daniele Stilita, mutò direzione.
Come si è detto, Marcello fondò ed incrementò anche quella biblioteca, nella quale lui e i suoi monaci si misero in grado di diventare i principali fautori del rinnovamento del pensiero e dell’azione durante quasi tutta la seconda metà del V secolo.
Pur attendendo a formare i suoi monaci dell’Ireneo, a costituire altrove colonie monastiche, a raccogliere reliquie e leggende di santi, ad accogliere pellegrini, che venivano a consultarlo o a visitare il suo monastero, trovava il tempo per prepararsi a partecipare a conferenze dommatiche e a sessioni conciliari.
Nel 448, a Costantinopoli, insieme col patriarca Flaviano, con trentuno vescovi e ventidue archimandriti, sottoscrisse la condanna dell’archimandrita Eutiche. Nel 449, durante il cosiddetto «latrocinio efesino», allorché il monofisfsnio sembrò trionfare, egli dispiegò tanto zelo contro l’eresia da meritare le lodi di Teodoreto di Ciro. Nel 451 era presente alla quarta sessione del concilio di Calcedonia, durante la quale, insieme con altri diciassette archimandriti, sottoscrisse una supplica all’imperatore Marciano contro Eutiche.
Grazie al prestigio e alla fama di santità di cui universalmente godeva e di cui è prova il fatto che il 2 settembre del 465 fu attribuito alle sue preghiere l’arresto dell’incendio di Costantinopoli, egli poté lottare ad oltranza ed efficacemente contro l'arianesimo del goto Aspar Ardaburo, console nel 427 e della sua famiglia. Per due volte, nel 469 e nel 471, impedì che salisse sul trono imperiale un membro di questa stessa famiglia, la quale nel 471 cadde in rovina così come aveva profetizzato l'archimandrita degli Acemeti.
Marcello morì il 485 circa e subito fu venerato come santo.
La sua festa è iscritta nel Martirologio Romano al 29 dicembre, come nei sinassari che, pur recando una notizia su di lui, non menzionano una sinassi in suo onore.
(Autore: Giuseppe Caliò - Enciclopedia dei Santi)
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*San Martiniano di Milano - Vescovo (29 dicembre)

V secolo
Martirologio Romano: A Milano, San Martiniano, vescovo.
Quindicesimo vescovo di Milano, viveva nel 431: in quell'anno, infatti, scrisse una lettera a Giovanni di Antiochia ed ai vescovi partigiani di Nestorio (in Mansi, IV, col. 1416, figura col nome di Martino).
Morto il 29 dicembre di un anno non ben precisato, viene commemorato il 2 gennaio (in octava S. Stephani).
Attualmente si trova sepolto sotto l'altare maggiore della basilica di S. Stefano.
C'è un carme di Ennodio su San Martiniano (Carmina II, 81, in CSEL, VI, pp. 583-84) che ne ricorda l'elezione episcopale contrastata e gli attribuisce la costruzione di due chiese ed un governo di breve durata, il che è in netto contrasto con la notizia che gli attribuisce trent'anni di episcopato.  
(Autore: Antonio Rimoldi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Tommaso Becket - Vescovo e Martire (29 dicembre)

Londra, Inghilterra, c. 1118 - Canterbury, 29 dicembre 1170
Nato a Londra verso il 1117 e ordinato arcidiacono e collaboratore dell'arcivescovo di Canterbury, Teobaldo, Tommaso fu nominato cancelliere da Enrico II, con il quale fu sempre in rapporto di amicizia. Teobaldo morì nel 1161 ed Enrico II, grazie al privilegio accordatogli dal Papa, poté scegliere Tommaso come successore alla sede primaziale di Canterbury.
Ma occupando questo posto Tommaso si trasformò in uno strenuo difensore dei diritti della Chiesa, inimicandosi il sovrano.
Fu ordinato sacerdote e vescovo nel 1162. Dopo aver rifiutato di riconoscere le «Costituzioni di Clarendon» del 1164, però, Tommaso fu costretto alla fuga in Francia, dove visse sei anni di esilio.
Ma al rientro come primo atto sconfessò i vescovi che erano scesi a patti col re, il quale, si dice, arrivò a esclamare: «Chi mi toglierà di mezzo questo prete intrigante?». Fu così che quattro cavalieri armati partirono alla volta di Canterbury.
L'arcivescovo venne avvertito, ma restò al suo posto; accolse i sicari del re nella cattedrale, vestito dei paramenti sacri e si lasciò pugnalare senza opporre resistenza. Era il 23 dicembre del 1170. (Avvenire)
Etimologia: Tommaso = gemello, dall'ebraico
Emblema: Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: San Tommaso Beckett, vescovo e martire, che per avere difeso la giustizia e la Chiesa fu costretto all’esilio dalla sua sede di Canterbury e dal regno stesso d’Inghilterra e, tornato in patria dopo sei anni, patì ancora molto, finché passò a Cristo, trafitto con la spada dalle guardie del re Enrico II nella cattedrale.
Una delle scelte più indovinate del grande sovrano inglese Enrico II fu quella del suo cancelliere nella persona di Tommaso Becket, nato a Londra da padre normanno verso il 1117 e ordinato arcidiacono e collaboratore dell'arcivescovo di Canterbury, Teobaldo.
Nelle vesti del cancelliere del regno, Tommaso si sentiva perfettamente a proprio agio: possedeva ambizione, audacia, bellezza e uno spiccato gusto per la magnificenza. All'occorrenza sapeva essere coraggioso, particolarmente quando si trattava di difendere i buoni diritti del suo principe, del quale era intimo amico e compagno nei momenti di distensione e di divertimento.
L'arcivescovo Teobaldo morì nel 1161 ed Enrico II, grazie al privilegio accordatogli dal Papa, poté scegliere Tommaso come successore alla sede primaziale di Canterbury.
Nessuno, e tanto meno il re, prevedeva che un personaggio tanto "chiacchierato" si trasformasse subito in uno strenuo difensore dei diritti della Chiesa e in uno zelante pastore d'anime. Ma Tommaso aveva avvertito il suo re: "Sire, se Dio permette che io diventi arcivescovo di Canterbury, perderò l'amicizia di Vostra Maestà".
Ordinato sacerdote il 3 giugno 1162 e consacrato vescovo il giorno dopo, Tommaso Becket non tardò a mettersi in urto col sovrano. Le "Costituzioni di Clarendon" del 1164 avevano ripristinato certi abusivi diritti regi decaduti. Tommaso Becket rifiutò perciò di riconoscere le nuove leggi e si sottrasse alle ire del re fuggendo in Francia, dove visse sei anni di esilio, conducendo vita ascetica in un monastero cistercense.
Conclusa con il re una pace formale, grazie ai consigli di moderazione di Papa Alessandro III, col quale si incontrò, Tommaso poté far ritorno a Canterbury, accolto trionfalmente dai fedeli, che egli salutò con queste parole: "Sono tornato per morire in mezzo a voi". Come primo atto sconfessò i vescovi che erano scesi a patti col re, accettando le "Costituzioni", e il re questa volta perse la
pazienza, lasciandosi sfuggire una frase incauta: "Chi mi toglierà di mezzo questo prete intrigante?".
Ci fu chi si prese questo incarico. Quattro cavalieri armati partirono alla volta di Canterbury. L'arcivescovo venne avvertito, ma restò al suo posto: "La paura della morte non deve farci perdere di vista la giustizia". Egli accolse i sicari del re nella cattedrale, vestito dei paramenti sacri. Si lasciò pugnalare senza opporre resistenza, mormorando: "Accetto la morte per il nome di Gesù e per la Chiesa". Era il 23 dicembre del 1170. Tre anni dopo Papa Alessandro III iscrisse il suo nome nell'albo dei Santi.
Chiudiamo l’agenda con San Tommaso Becket, inglese, cancelliere del re (cioè il numero due), vescovo della Chiesa e martire. Non c’è una motivazione precisa per concludere l’anno con un martire, ma è bene di tanto in tanto ricordare qualcuno dei nostri fratelli e sorelle, non solo vissuti nella fede ma anche morti a causa di essa.
Nel secolo scorso sono stati milioni in tutte le parti del mondo i caduti, martiri delle persecuzioni contro la fede cristiana. E questo martirologio già di per sé tragicamente lungo viene arricchito continuamente.
Sono nostri fratelli e sorelle, vicini o lontani nel tempo, ma uniti a noi dalla medesima fede, che ci spronano e ci richiamano con il loro esempio a tenere “fisso lo sguardo su Gesù Cristo, autore e perfezionatore della nostra fede” e a superare le prove piccole e grandi della nostra vita spirituale per essere fedeli discepoli dell’unico Maestro e Salvatore.
E nel momento per noi della “crisi” cioè delle scelte decisive per Dio o contro di Lui, teniamo presente la stupenda e consolante immagine descritta nella Lettera agli Ebrei (Eb 12) quando si parla di una immensa schiera di fratelli e sorelle che assistono dalle tribune di un immaginario stadio spirituale (il paradiso): “Eccoci dunque posti di fronte a questa grande folla di testimoni (martyres, in greco).
Corriamo decisamente la corsa che Dio ci propone” nell’immenso stadio del mondo dove siamo chiamati a vivere la nostra vita. Un famoso cantautore italiano in una canzone ripete continuamente il ritornello “Siamo soli, siamo soli”. È un richiamo alla solitudine esistenziale, che tutti, anche se abitiamo in città, un po’ sentiamo. Ma non siamo soli nel vivere la nostra fede: la folla descritta dalla Lettera agli Ebrei assiste, ricorda i buoni esempi, incoraggia, e applaude. Chi? Ciascuno di noi, ancora nella fase di “viatori” che cammina o corre verso la Città Celeste, cioè verso Dio.
Anche Thomas Becket è uno di questi testimoni, anch’egli ebbe il suo carico di sofferenze e difficoltà (chi non le ha?) lungo la sua vita a causa della propria fede. Ma perseverò fino alla fine, coronandola con il sigillo del proprio sangue. È un martire della Chiesa, ed un testimone di coraggio e di coerenza di fronte alle prepotenze del potere politico.
Thomas, uomo di stato
Thomas nacque a Londra nel 1118 da Gilberto e Matilde, ambedue appartenenti alla borghesia di origine normanna. Tuttavia alla morte dei propri genitori rimase quasi nullatenente, e per anni
dovette lavorare come impiegato. Ricevette un’educazione liberale presso i canonici di Merton, nel Surrey. Più tardi intraprese gli studi di diritto canonico prima ad Auxerre e quindi a Bologna, la prima delle università, già allora famosa in tutta Europa.
Entrò poi a far parte del gruppo di collaboratori dell’arcivescovo Teobaldo di Canterbury. Questi lo mandò in diverse occasioni a Roma per svolgere missioni importanti e delicate.
Finalmente nel 1154 diventò arcidiacono della diocesi e nel 1155 il neo re Enrico II lo nominò cancelliere del regno. Era arrivato al top della carriera: numero 2, dopo il re. I due inoltre erano legati da sincera amicizia e collaborazione.
Nella sua nuova carica Thomas si trovava a proprio agio e lavorava volentieri, anche perché ad essa era legato un grande potere, che significava immancabilmente un lungo e piacevole corollario di onori, lusso, magnificenza, divertimenti. Non disdegnava di andare a caccia, era infatti un abile falconiere. Ed era diventato anche, provetto nell’uso delle armi.
Thomas era generoso negli intrattenimenti per sé (la carica lo esigeva), ma lo era anche con i poveri. Da vero uomo di potere lavorò molto e con competenza per restaurare la sovranità dell’Inghilterra nelle mani del re Enrico, sovranità che era stata compromessa dal precedente regno di Stefano di Blois. Egli fu in questi anni il vero braccio destro del sovrano e il vero restauratore della monarchia, non senza attirarsi le immancabili critiche, anche da parte della Chiesa. Morto nel 1161 l’arcivescovo Teobaldo, re Enrico, per porre fine alla resistenza della Chiesa contro l’usurpazione reale dei propri diritti e privilegi avuti nei secoli precedenti, pose la candidatura del suo cancelliere. Chi c’era più degno di lui? Davanti a tanto sponsor poteva il suo numero due dirgli di no?
Thomas infatti gli disse: “Se Dio mi permettesse di essere arcivescovo di Canterbury, perderei la benevolenza di vostra maestà, e l’affetto di cui mi onorate si trasformerebbe in odio, giacché diverse vostre azioni volte a pregiudicare i diritti della Chiesa mi fanno temere che un giorno potreste chiedermi qualcosa che non potrei accettare, e gli invidiosi non mancherebbero di considerarlo un segno di conflitto senza fine tra di noi”. Parole profetiche. Ma il re Enrico non diede loro importanza e insistette.
Thomas declinò lo stesso l’invito regale, finché non intervenne il nunzio apostolico il card. Enrico di Pisa. Questi, non il re, lo convinse ad accettare il prestigioso incarico a vescovo di Canterbury.
Thomas, uomo di Chiesa
Come primo atto egli si trasferì da Londra a Canterbury: iniziava così con un gesto concreto e ben visibile la sua nuova missione e il proprio cambiamento. Che fu coraggioso e totale. Era diventato un uomo di Chiesa, cioè di servizio, non più uomo di potere, secondo la logica di questo mondo. Non ci fu un semplice “lifting” per così dire, andò molto più in profondità: voleva rappresentare Gesù Cristo come pastore del proprio gregge, e volle assomigliargli più possibile nella propria vita quotidiana.
Sobrietà nel mangiare e vestire, preghiera e meditazione della Scrittura ogni giorno, distribuzione ai poveri delle elemosine che furono più abbondanti che quelle del predecessore, visite agli ammalati e agli ospedali. Dalla sua elezione condusse quasi una vita monastica.
Ma ben presto vennero a galla i conflitti con il re. L’occasione furono le Costituzioni di Clarendon. Nella storia inglese, queste sono un capitolo molto importante.
Di che si trattava? Era il tentativo di codificazione, per iscritto, di antiche usanze e consuetudini del regno, che qualche volta erano in contrasto con la legislazione canonica che ne limitavano la libertà e l’indipendenza di azione. La polemica che ne scaturì era di ordine giuridico: l’arcivescovo difendeva le posizioni acquisite dalla Chiesa, secondo il diritto canonico. Il re e i suoi giuristi facevano riferimento a consuetudini feudali, che andavano a beneficio del potere regale (nascita del diritto civile).
Queste Costituzioni si possono considerare anche la prima dichiarazione legale della Common Law (Legge Comune) inglese. Thomas all’inizio fu conciliante, poi appresi i dettagli (il diavolo si nasconde sempre nelle clausole) le respinse affermando: “Nel nome di Dio onnipotente, non porrò il mio sigillo”. Era come una dichiarazione di ostilità nei riguardi del re, e l’inizio del confronto tra i due. Finalmente arrivò anche il sostegno da Roma: il papa Alessandro III respinse vari provvedimenti dell’assise di Clarendon, e nello stesso tempo pregò Thomas, che aveva dato le dimissioni, di continuare.
Durante le trattative tra papa e re, fu ospite in un monastero cistercense e poi anche del re di Francia. Il suo soggiorno all’estero (era un vero esilio) durò sei anni.
Tornato a Canterbury fu bene accolto dalla popolazione, ma non dalla corte e dal re, ormai diventato suo nemico. Questi un giorno esclamò ad alta voce che qualcuno lo liberasse da quel vescovo. Non si conoscono le parole esatte, ma sembra che non intendesse o ancor meno che ordinasse, indirettamente, la sua eliminazione fisica. Invece quattro cavalieri che lo sentirono
pensarono di avere avuto mano libera.
E partirono alla volta di Canterbury, per la soluzione finale del confronto. Entrarono in chiesa con la forza gridando “Dov’è Thomas il traditore?”. Questi rispose: “Sono qui, ma non sono un traditore, bensì un vescovo e sacerdote di Dio”. E fu brutalmente ucciso a coltellate. L’assassinio si consumava nella cattedrale (episodio questo che fu fonte di ispirazione e rievocazione letteraria per molti artisti, tra i più famosi T. S. Eliot col suo Assassinio nella cattedrale).
L’orrenda notizia si sparse velocemente per tutta l’Europa. Il re Enrico II ne fu profondamente addolorato e digiunò per molti giorni in segno di sincero dolore. “Thomas non aveva vissuto come un Santo, ma morì come tale, un uomo dai molti aspetti che cercava la gloria, che trovò alla fine, con coraggio e abnegazione” (A. Butler).
La sua fama di Santo martire varcò ben presto i confini di Canterbury. Alessandro III la sancì canonizzandolo nel 1173. All’intercessione del nuovo martire si attribuirono molti miracoli, e la sua tomba diventò meta di numerosi pellegrinaggi.
(Autore: Mario Scudu sdb – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Tommaso Becket, pregate per noi.

*San Trofimo di Arles - Vescovo (29 dicembre)

Martirologio Romano: Ad Arles nella Provenza in Francia, San Trófimo, ritenuto primo vescovo di questa città.
Due autorevoli citazioni storiche ci parlano di Trofimo come primo vescovo di Arles.
Il primo è il Papa San Zosimo che nel 417 scrivendo ai vescovi della Gallia fa cenno di Trofimo dicendo che era stata mandato a compiere attività missionarie in Gallia e la sua predicazione aveva
come fulcro il territorio di Arles di cui poi venne eletto Vescovo.
La seconda fonte è San Gregorio di Tours che esplicitamente indica in Trofimo il primo vescovo di Arles, aggiungendo essere uno dei sei vescovi che nel III secolo giunsero da Roma insieme a San Dionigi.
Altra fonte che parla del nostro santo è la dedicazione della cattedrale di Arles proprio in suo onore, pertanto il suo ministero e la sua collocazione storica risultano bene delineati da queste coordinate ecclesiali.  
Non si possiedono altre notizie su Trofimo, anche se una tradizione lo vorrebbe identificare con Trofimo di Efeso, un gentile che accompagnò San Paolo nel suo terzo viaggio missionario e poi sarebbe giunto in queste lontane terre su mandato apostolico, ovviamente si tratta di un espediente agiografico che venne posto per avvalorare la supremazia dei Vescovi di Arles sul territorio della Gallia.
Un'altra curiosità riguarda il suo patronato, veniva invocato contro la podagra, la gotta era infatti una malattia estremamente dolorosa che colpiva spesso sistema articolare, la podagra riguarda l’articolazione dell’alluce.
Non è dato sapere il motivo di questo patronato ma la sua invocazione nella malattia viene riportato da numerose opere devozionali dei secoli scorsi.
(Autore: Don Luca Roveda - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Trofimo di Arles, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (29 dicembre)  
*
San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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